Una diagnosi di diabete di Tipo 1 in un bambino, non colpisce solo lui ma l'intera famiglia. Ritrovare un nuovo equilibrio è necessario, ma non sempre risulta essere un compito semplice. Spesso la patologia spinge la famiglia a chiudersi sul piccolo paziente.
Il campo famiglie è pensato proprio per dare loro la possibilità di aprirsi, di trovare nuovi equilibri e riacquistare autonomia e libertà, mostrando nuove possibilità ed una prospettiva differente.
Tutto ciò è reso possibile dalla splendida equipe del Regina Margherita che si troverà a lavorare, in un ambito diverso da quello ospedaliero, dove la famiglia si potrà confrontare con diverse attività pensate per i singoli componenti e per l'intero nucleo in un ambiente stimolante all'interno comunque di un percorso studiato e protetto.
I ragazzi si cimenteranno in attività ludo-pedagogiche con educatori e tutor supportati dall'equipe del regina margherita.
Nel mentre gli adulti approfondiranno con il Team del Regina Margherita la conoscenza della patologia diabetica e in un percorso di condivisione e crescita.
Ma per capire a pieno l'importanza di un campo bisogna viverlo, per questo abbiamo deciso di descriverlo attraverso le parole di una mamma che ha deciso di condividere con noi cosè stato per lei un campo scuola:
IL CAMPO PRIMA DEL CAMPO, IL CAMPO DOPO IL CAMPO.
Chissà se è proprio il caso di partecipare a questo campo scuola per famiglie con bambini diabetici…mi sa tanto di un’autoemarginazione dal reso del mondo. Finiremo tutti attorno ad un tavolo, con i nostri visi stanchi, i nostri sguardi persi nel vuoto, a commiserarci vicendevolmente in un continuo racconto di difficoltà vissute, ansie e preoccupazioni…Cos’ha a che fare tutto questo con l’affannosa ricerca della normalità in cui tutti siamo
impegnati?Per la prima volta da tanto tempo, non ho dovuto spiegare nulla, non ho dovuto raccontare un’esperienza avendo
l’impressione, quasi la certezza, che la persona davanti a me non stesse capendo niente di quello che dicevo, o
non fosse interessata o, peggio che mai, finisse per compiangermi. Al campo, finalmente ho incontrato persone
alle quali non devo spiegare niente, persone davanti alle quali non ho timore di essere fraintesa, che leggono nei
miei occhi tutto quello che c’è nella mia giornata, nel mio cuore, senza necessità che io lo racconti. Siamo
tranquilli a tavola, abbiamo tutti un controllo da fare, qualcosa da mangiare prima degli altri per alzare la glicemia
o l’insulina da fare subito per il valore alto, tutti guardiamo con la coda dell’occhio che il piatto di nostro figlio
venga vuotato, tutti facciamo richieste apparentemente incomprensibili ai camerieri e per la prima volta, dopo
tanto tempo, non siamo a disagio. Questo è fantastico. I nostri figli diventano figli di tutti e, cosa inimmaginabile,
non si sa come, le paure si dividono sovrastate dalla condivisione, e da un affetto reciproco che è spontaneo e
irrefrenabile. Nel campo non ci sono sconosciuti. Il campo non è un ghetto, ma solo una riunione di famiglia.Come faremo con la gestione quotidiana? Ho letto sul programma che i bambini staranno con gli animatori. Io hobisogno di controllare il vibe ogni mezzoretta e ci sono sempre così tanti sbalzi…Mio figlio non può stare senza di me.
E’ stata la sorpresa più bella del campo. Ho incontrato mio figlio solo a pranzo, a cena e per la notte. Si è divertito
tantissimo, ha avuto le glicemie più belle degli ultimi mesi e io sono stata tranquilla, tranquillissima anzi. Perché è
vero che per mio figlio sono insostituibile; ma solo per l’amore che gli do e che non può avere pari. Per il resto
sono interscambiabile con altri! E renderlo forte, autonomo e indipendente è il regalo più grande che posso
fargli. Questo può compensare una parte di quello che Mister D gli ha tolto.Al campo ci vado da sola, con mio figlio. Voglio mettermi alla prova, senza dover fare i conti con mio marito, con il paradosso del nostro essere coppia, coppia unita su tutto, legata da mille cose e sentimenti diversi e forti, eppure diametralmente opposti nell’affrontare questo Mister D, al quale approcciamo in modi troppo diversi, con cocciuta convinzione, senza che nessuno dei due riesca a persuadere l’altro di essere sulla buona strada.
Se tornassi indietro, insisterei all’infinito per convincere anche mio marito a venire con me. Forse si sarebbe reso
conto che è un papà come gli altri, con le stesse paure degli altri. Forse avrebbe capito che non è vero che è
inutile parlarne, non è vero che osservare la vita degli altri non rende meno gravosa la nostra. Non è vero. La
condivisione allevia, e dagli altri c’è sempre qualcosa da imparare, anche se si è determinati, forti e sicuri di se
stessi. Ognuno di noi è risorsa per gli altri. Pensandoci, avrei portato con me anche mia madre. Così le avrei fatto
vedere chè risorsa sono i nonni, le avrei fatto vedere che il suo adorato nipotino, fuori dalle mura di casa, non è
un bambino diabetico ma è soltanto e comunque, prima di tutto, un bambino e basta. Avrebbe visto che nella sala
giochi e a tavola, e sul lungomare, insieme a tutti gli altri non ci sono differenze; non si distingue, tra amici,
fratellini e fratelloni chi abbia il diabete e chi no. Il gioco, la stanchezza, la fame e le pietanze sono uguali per tutti.
Sarà così sempre, in ogni circostanza. Le discriminazioni e i limiti non sono oggettivi, esistono solo nella mente di
chi li genera. Di oggettivo ci sono delle difficoltà che si superano con un po’ di buona volontà. Il futuro è
un’incognita, ma questo non ha niente a che fare con il diabete: il futuro è un’incognita per tutti e se non fosse
così, non sarebbe entusiasmante!Da quando Mister D ha bussato alla mia porta ho lavorato con costanza e perseveranza per ritrovare la serenità e ricominciare a vedere il lato positivo di ogni cosa, per ritrovare una felicità che avevo e mi pareva che di colpo fosse volata via per sempre. L’Ho fatto per me stessa, per la mia famiglia, per mio figlio diabetico, per mio figlio non diabetico. Non so cosa ho fatto e come l’ho fatto, so però che a quasi due anni da che abbiamo “aggiunto un posto a tavola” mi sento fiduciosa, riesco a sorridere e a pensare al futuro con il necessario ottimismo. Per questo adesso ho paura di andare al campo, ho paura di vedere le sofferenze degli altri, ho paura di annullare il lavoro su me stessa di questi anni, ho paura di precipitare in un baratro che forse è ancora lì.
Le mamme e i papà non possono avere paura! La paura è un freno e freni servono a poco nel lungo viaggio alla
scoperta delle mille cose della vita! E ho fatto bene a non cedere! Abbiamo tutti un equilibrio più o meno precario
ma oscillare non vuol per forza dire cadere. Non ho guardato gli altri genitori osservando la loro sofferenza, non
mi sono presa un pezzetto del loro dolore. Ho guardato i loro sorrisi, ho cercato di capire cosa potevo imparare
dalla loro vita quotidiana perché ogni equilibrio può essere reso più stabile e perché tutti, anche quelli che
pensano di essere inutili e incapaci, in realtà hanno qualcosa da insegnare. E soprattutto ho guardato i nostri figli,
allegri, scatenati, FELICI.
Non si può fare a meno del campo. La fine del campo lascia un inspiegabile senso di vuoto. Io l’ho provato,
stamattina, appena sveglia, e ho avuto il desiderio di mandare un messaggio a tutte le mamme che ho
conosciuto, così, solo per salutarle. Ho sorriso pensando a queste strane sensazioni e ho capito quanto ricca sono
ora. Questa mattina sono uscita da casa e mi sono immersa di nuovo nella mia quotidianità. Ma non sono quella
di tre giorni fa. Sono più forte, più consapevole, più felice.
Rosanna, mamma Naretto.